mercoledì 16 settembre 2009

Per un mondo senza bombe nucleari

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 8 settembre 2009

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

L’ambiente sarebbe certo migliore se venisse eliminata la spada di Damocle delle bombe nucleari, sospesa da tanti anni sulla testa dell’umanità come immane possibile tragedia ecologica. Quest’anno in agosto la ricorrenza dei bombardamenti nucleari di Hiroshima e Nagasaki è passata quasi sotto silenzio, ma le bombe atomiche, figlie di quelle due che nel 1945 distrussero 200.000 vite umane nelle due città giapponesi, non sono affatto scomparse, anzi sono lì, negli arsenali noti e in quelli segreti, e le fabbriche lavorano freneticamente per tenerle sempre pronte all’uso e per inventarne di nuove: 10.000 bombe nucleari negli Stati Uniti, circa 15.000 nella Russia e un numero imprecisato negli altri stati nucleari: Cina, Francia, Regno Unito, Israele, Pakistan, India, alcune pronte a partire entro pochi minuti, bombe sparse dovunque, alcune diecine di bombe americane collocate anche in Italia.

Negli anni scorsi è sembrato che potesse partire una campagna mondiale per il disarmo nucleare: un mondo senza bombe nucleari fu invocato nel gennaio 2007 da Kissinger e altri statisti americani; nel giugno 2008 da statisti inglesi; nel luglio 2008 dagli italiani D’Alema, Fini, La Malfa, Parisi e Calogero; nell’ottobre 2008 dal Segretario generale delle Nazioni Unite; nel corso della campagna elettorale e dopo il suo insediamento nel gennaio 2009, dal presidente degli Stati Uniti; nei giorni scorsi dal Consiglio Mondiale delle Chiese a Ginevra; in varie occasioni dal Papa. Invece i progressi verso un mondo senza bombe atomiche sono lentissimi. Le bombe nucleari sono di due tipi principali, basate su diversi materiali e processi produttivi.

Le bombe a fissione sono basate sulla liberazione di grandissime quantità di calore in seguito alla rapidissima “frantumazione” (“fissione”, appunto) dei nuclei di plutonio; il principio è lo stesso della liberazione di calore nelle centrali nucleari nelle quali, invece la “fissione” dei nuclei di uranio e plutonio è lenta e controllata in modo da utilizzare il calore liberato per azionare le turbine che producono elettricità. Il plutonio per le bombe atomiche è recuperato come sottoprodotto del funzionamento delle centrali nucleari o è “fabbricato” con speciali reattori partendo da uranio “arricchito” nell’isotopo 235 mediante processi di centrifugazione lenti e costosi.

L’altro tipo di bombe è quello a fusione nelle quali la liberazione di calore è ottenuta mediante riscaldamento ad altissima temperatura e pressione di una miscela di deuterio e trizio, le due forme dell’idrogeno più “ricche” di neutroni, rispettivamente due e tre, rispetto ad un solo neutrone presente nell’idrogeno ordinario. Il deuterio e il trizio si preparano con costosi e complicati processi chimici e nucleari industriali e l’innesco della reazione di fusione, termonucleare, è provocato dalla fissione del plutonio. Le bombe termonucleari possono essere fabbricate con potenze distruttive grandissime, di alcuni “megaton” (la potenza distruttiva di alcuni milioni di tonnellate del potente esplosivo tritolo) fino a dimensioni con potenza distruttiva di “appena” alcune diecine di chiloton (un chiloton è la potenza distruttiva equivalente a quella di mille tonnellate di tritolo). Le bombe di Hiroshima e Nagasaki avevano ciascuna una potenza di circa 15 chiloton.

Si può stimare che le bombe nucleari dei vari “modelli” abbiano complessivamente una potenza distruttiva uguale a quella di circa un miliardo di tonnellate di tritolo, duecento chili di tritolo per ogni abitante della Terra, donne, uomini, bambini. Gli otto paesi nucleari “ufficiali”giustificano le loro bombe atomiche con il principio della deterrenza: se un paese volesse aggredirli saprebbe di essere destinato all’immediata vendetta e distruzione, e sostengono che la deterrenza ha finora impedito una guerra nucleare. Ma molti paesi del mondo si chiedono: “perché in otto possono avere le bombe nucleari e noi no ?”. Iran e Corea del Sud, per esempio, sono accusate di volersi dotare anche loro, proprio per questo motivo, di armi nucleari.

Sono stati fatti vari tentativi di accordo sul disarmo nucleare; nel 1991, dopo la fine dell’Unione Sovietica, la Russia e gli Stati Uniti firmarono l’accordo START I che li impegnava alla graduale diminuzione delle testate nucleari “strategiche”, definite come quelle montate su missili intercontinentali, capaci di scavalcare gli oceani, e su missili trasportati da sottomarini; una qualche diminuzione c’è stata. Oggi ci sono “soltanto” meno di 3000 bombe nucleari “strategiche” negli Stati Uniti e circa 4000 in Russia. L’accordo START I scade fra poche settimane, il 5 dicembre 2009, nel silenzio e disinteresse generale; nessuno sa quale seguito avrà. Le apparenti buone intenzioni di disarmo nucleare sono vanificate dai potenti interessi del complesso militare industriale che assicura diecine di migliaia di posti di lavoro e enormi guadagni.

Così, nel nome del profitto, vengono dissipate grandissime quantità di denaro che potrebbe, se impiegato altrimenti, liberare il mondo dalla fame e dalla sete e dalla violenza terroristica. Inoltre i soldi risparmiati con l’eliminazione delle armi nucleari potrebbero essere utilmente impiegati per l’eliminazione della coda avvelenata della corsa alle bombe nucleari; l’enorme massa di materiali radioattivi che, quando le bombe nucleari fossero definitivamente eliminate, dovrebbero essere resi inerti e sepolti con tecniche ancora più complicate di quelle, già complicate, richieste dall’eliminazione delle scorie radioattive delle centrali nucleari commerciali; ci sarebbe, ci sarà, lavoro per milioni di persone, scienziati, tecnici, operai, per eliminare la mortale eredità che la follia di tanti decenni ha predisposto per le generazioni future.

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