sabato 13 marzo 2010

Chimica - Persone - Henry Bessemer

Il 2011 è stato proclamato dalle Nazioni Unite anno internazionale della Chimica

Il 14 agosto 1856 il “Times”, il più grande quotidiano britannico, pubblicò in prima pagina per intero la relazione presentata due giorni prima (badate anche alle date: era la vigilia di quello che per noi sarebbe il ferragosto, un periodo generalmente di stanca) alla riunione dell’Associazione britannica delle Scienze a Cheltenham, da Henry Bessemer (1813-1898), scienziato, imprenditore e inventore del primo processo per la fabbricazione su larga scala dell’acciaio.

Quel 1856 cambiò letteralmente il mondo: l’acciaio, da metallo costoso, diventò un materiale che poteva essere prodotto a basso prezzo, in grandissima quantità, e che poteva essere impiegato per fabbricare non più solo i cannoni, ma anche rotaie ferroviarie, caldaie, locomotive, travi, ponti, navi, macchine tessili, caldaie per zuccherifici, eccetera.

Bessemer ha raccontato lui stesso la propria vita, o meglio la propria avventura umana, in una affascinante autobiografia che si può leggere anche in Internet (http://www.history.rochester.edu/ehp-book/shb/). All’invenzione del “processo” che oggi porta il suo nome, Bessemer arrivò dopo una serie di imprese nel campo della fusione del vetro e di altri metalli. Ma era l’acciaio il materiale strategico per eccellenza, che attirava la sua attenzione: in tutti i paesi industriali allora l’acciaio era fabbricato in due fasi: dapprima i minerali di ferro venivano trattati con carbone coke e trasformati nella ghisa, una lega di ferro e carbonio con un elevato contenuto di carbonio (circa 3 o 4 per cento), per cui risulta fragile e di limitato impiego. Per ottenere l’acciaio (una lega di ferro con meno dell’uno per cento di carbonio) la ghisa doveva essere fusa insieme al costoso ferro dolce, praticamente privo di carbonio e prodotto in Svezia. Dalle acciaierie svedesi dipendeva quindi lo sviluppo di tutti i paesi industriali.

Bessemer ebbe l’idea rivoluzionaria di eliminare il carbonio dalla ghisa scaldandola ad alta temperatura in presenza dell’ossigeno dell’aria: in questo modo gran parte del carbonio brucia e resta l’acciaio. Bessemer, dopo molti tentativi, costruì un forno fatto a pera, con una stretta apertura rotonda in alto, rivestito all’interno da mattoni refrattari. Il forno poteva essere fatto ruotare intorno ad un asse orizzontale, per cui la bocca poteva, a volta a volta essere rivolta verso l’alto, oppure verso il basso.

Sul fondo della “pera” erano aperti dei fori per l’ingresso dell’aria calda sotto pressione. Quando il forno era verticale, attraverso la bocca veniva versata ghisa fusa, estratta direttamente dall’altoforno: a questo punto veniva fatta entrare l’aria dal fondo. Durante la combustione del carbonio ad opera dell’ossigeno, si liberava calore che teneva allo stato fuso l’acciaio a mano a mano che si formava dalla ghisa. In un quarto d’ora la reazione era finita e il forno veniva inclinato verso il basso in modo da far uscire l’acciaio fuso.

Il processo funzionava senza consumo di energia (i problemi ecologici e di economia delle risorse non li abbiamo certo inventati noi !) ed appariva, in quella metà del 1800, una cosa da meritare, come si accennava all’inizio, l’attenzione del più diffuso quotidiano inglese. Non c’è dubbio che il processo Bessemer contribuì, più di qualsiasi altra invenzione, alla nascita della società industriale moderna e del capitalismo.

Sta di fatto che, appena letto l’articolo del “Times”, vari industriali francesi e tedeschi si precipitarono a Londra per chiedere la cessione del brevetto. Il processo Bessemer non era perfetto: non riusciva a trattare le ghise della Lorena, ricche di fosforo, un problema risolto da Sidney Thomas (1850-1885) che ricoprì l’interno del convertitori Bessemer con mattoni di calcare. Durante la trasformazione della ghisa in acciaio il fosforo veniva fissato dal calcare sotto forma di fosfato di calcio. Si trattava di un “rifiuto” che si rivelò prezioso come concime fosfatico e che fu usato per oltre un secolo con il nome di “Scorie Thomas”. Figuratevi che l’Italia ne importa una sia pur piccola quantità ancora oggi dalla Francia.

Il processo Bessemer era in grado di ottenere acciaio soltanto partendo dalla ghisa, non dai rottami ferrosi che si stavano già accumulando in grande quantità già in questa meyà dell’Ottocento: il problema della loro utilizzazione risolto dallo studioso francese Pierre-Emile Martin (1824-1915) che inventò, nel 1865, un forno (che si chiama ancora oggi Martin-Siemens), in grado di fondere insieme ghisa e rottami, riscaldati ad alta temperatura.

E’ vero che il processo richiedeva energia ottenuta bruciando carbone, ma la formazione dell’acciaio avveniva più lentamente, poteva essere tenuta sotto controllo, si potevano aggiungere altri metalli per ottenere le leghe richieste dall’industria meccanica, e, infine, i forni Martin-Siemens erano molto grandi e permettevano di ottenere, per unità di tempo, più acciaio di quanto non consentissero i convertitori Bessemer.

All’inizio del 1900 i forni Martin avevano soppiantato in gran parte il forno Bessemer, ma anche per il processo Martin si stava affacciando un pericoloso concorrente. Alcuni inventori e industriali austriaci avevano perfezionato il forno Bessemer: introducendo, dal fondo, ossigeno puro, anziché aria, era possibile ottenere acciaio dalla ghisa e dai rottami di ferro insieme, e addirittura direttamente dai minerali di ferro. Circa la metà dell’acciaio nel mondo è prodotta con questo processo LD a ossigeno: gran parte dei rottami sono trasformati in acciaio con il forno elettrico che non ha più bisogno di ghisa

L’acciaio ha dominato le società industriali (al punto che Stalin scelte il proprio nome di battaglia proprio dal nome dell’acciaio, Stal), e le domina ancora. La produzione mondiale di acciaio si aggira nel 2010 intorno a 1300 milioni di tonnellate all’anno; il 40 % in Cina.

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