lunedì 23 agosto 2010

I nipotini del dottor Ure 2316b

CNS, 12, (44/4), ii (aprile 2002), Supplemento a Liberazione 6 aprile 2002
http://www.ecologiapolitica.it/liberazione/200204/articoli/saggio4.pdf

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Il revisionismo, o negazionismo, è l'insieme di motivi, veri o falsi, con cui un gruppo cerca di negare i motivi per cui un altro gruppo rivendica riforme e diritti che disturbano il primo gruppo. Il disturbo può essere rappresentato dal fatto che le riforme fanno guadagnare meno soldi ai revisionisti, o ne mettono in dubbio principi consolidati, o il prestigio sociale.

Tutta la storia dell'umanità è stata segnata da conflitti fra chi rivendica nuovi diritti e chi li nega perché le riforme gli arrecano danno: il discorso vale per conflitti relativi al lavoro, per conflitti relativi all'ambiente, alla produzione industriale, eccetera. Da una parte si trovano persone che hanno come fine l'aumento della propria ricchezza e dei propri privilegi a spese di altre persone; dall'altra parte si trovano altre persone che ritengono di avere diritto a non essere sfruttate, o aspirano ad una vita che considerano migliore. Si tratta in ogni modo di conflitti fra valori e quindi difficilmente sanabili.

Fra i casi più noti si possono citare le lotte per le diminuzione dell'orario di lavoro dei ragazzi o delle donne o degli stessi adulti, o le lotte per l'abolizione della schiavitù. Ad un certo momento della storia alcune persone hanno pensato che non fosse giusto che i bambini lavorassero nell'umidità delle filande o nel buio delle miniere solo perché i datori di lavoro, potendoli pagare poco, potessero vendere i tessuti o il carbone con maggiore profitto; alcuni hanno pensato che i ragazzi non dovessero lavorare più di tante ore al giorno anche se i datori di lavoro fossero stati costretti a guadagnare di meno. Per i riformatori, era un valore la salute dei ragazzi; per gli imprenditori la difesa (poi neanche tanto sicura, come indicavano autorevoli scienziati, per esempio il dottor Ure) del benessere dei ragazzi non giustificava le perdite di competitività (e quindi i danni per la collettività) dei fabbricanti di merci.

A un certo punto alcune persone hanno pensato che gli schiavi avessero il diritto di essere liberi; per tali riformatori la libertà di una persona, sia pure di un nero, era un valore; per i proprietari la perdita di competitività, se avessero dovuto pagare gli schiavi come operai, non giustificava la richiesta del diritto alla libertà che del resto gli schiavi (e c'erano a questo proposito autorevoli documentazioni sia cristiane sia laiche) non meritavano e neanche desideravano. Come è noto, in entrambi i casi (come in centinaia di altri casi) il valore dei nuovi diritti è prevalso.

L'ho presa alla lontana per arrivare alla storia della contestazione ecologica che è stata ed è anch'essa piena di questi conflitti fra valori e interessi, non sempre economici. Qualcuno potrà forse utilmente scriverne una storia, specialmente adesso che vengono organizzati e resi pubblici, presso la Fondazione Micheletti di Brescia, archivi personali come quello "Laura Conti", quello "Giorgio e Gabriella Nebbia", quello "Vincenzo Cottinelli", e altri salvati o che si cerca di salvare dalla dispersione.

Si pensi al libro "Primavera silenziosa" della biologa americana Rachel Carson, che denunciava i pericoli di contaminazione planetaria ad opera dei pesticidi clorurati persistenti con conseguente turbamento dei cicli ecologici terrestri e marini. Per la Carson, come per molti biologi, si trattava di difendere un valore, quello della vita degli esseri viventi, anche non umani; per gli imprenditori la proposta eliminazione dal commercio dei pesticidi clorurati avrebbe comportato perdite economiche e si capisce bene che essi si siano mobilitati per dimostrare, mobilitando altri scienziati --- i nipotini del dottor Ure --- che i presunti danni agli ecosistemi erano inesistenti e per mostrare quali vantaggi invece l'uso del DDT aveva arrecato (il che era vero) nel combattere la malaria in altre zone. Quasi che coloro che chiedevano il divieto dell'uso del DDT anteponesse la solidità dei gusci delle uova dei gabbiani alla vita dei malati di malaria ancora esistenti nel mondo. Come è noto la tesi dei negazionisti è stata sconfitta non perché "pesasse" di più il valore della vita in confronto con quello dei soldi, ma perché la nuova sensibilità "ecologica" ha messo in moto innovazioni con cui è stato possibile salvaguardare un po' di più gli ecosistemi e combattere la malaria con altre sostanze.

Davanti alla proposta di porre dei limiti alla crescita della produzione e dei consumi merceologici dei paesi industriali, nel nome di nuovi valori, diversi da quello puro e semplice del possesso delle cose, ma legati alla salvaguardia delle risorse naturali e al diritto dei paesi poveri di avere una maggiore quota delle risorse della Terra --- i negazionisti hanno scritto importanti trattati sulle virtù della "crescita" dei commerci delle grandi imprese, virtù più importanti delle crisi e dei guasti ambientali che tale crescita ha arrecato e arrecherà.

Nel dibattito sulle centrali nucleari si sono scontrati i portatori del valore della salute e della vita anche delle future generazioni, con gli interessi dei venditori di centrali e di elettricità che hanno negato i danni e i costi umani e biologici della liberazione di sostanze radioattive. Si badi bene che sono convinto che, a fianco di alcuni negazionisti motivati dalla difesa di interessi economici privati, ce ne sono stati alcuni che consideravano, immagino disinteressatamente, un valore la possibilità di assicurare ai propri concittadini più elettricità.

Gli esempi potrebbero continuare: ce ne sarebbe per decine di tesi di laurea e per una mezza dozzina di libri.

Uno di questi scontri di valori è in corso in questi mesi. C'è un movimento che ritiene dannose alla salute le radiazioni elettromagnetiche, che si preoccupa per i mutamenti climatici provocati dalle modificazioni della composizione chimica dell'atmosfera dovute alle attività industriali; che chiede di vietare la diffusione di organismi geneticamente modificati. Può non essere certo che i mutamenti climatici faranno innalzare il livello degli oceani allagando le strade di Londra e Napoli; può non essere certo che la diffusione di alimenti ottenuti da piante geneticamente modificate renderà gli umani meno resistenti agli antibiotici; può non essere certo che fra trent'anni i ragazzi che sono vissuti accanto alle antenne delle centrali telefoniche si ammalino di leucemia.

Ma proprio perché non esiste certezza del contrario questi portatori di nuovi valori chiedono che alcune innovazioni siano diffuse con cautela, o fermate, secondo il "principio di precauzione".

Così facendo si ferma il progresso, dicono ad alta voce alcuni autorevoli studiosi: il "fantasma che si aggira da tempo nel paese", spargendo allarmi ed evocando catastrofi, terrorizzando le persone si chiama, secondo questi studiosi, oscurantismo e si manifesta in varie forme, tra cui le più pericolose sono il fondamentalismo ambientalista e l'opposizione al progresso tecnico scientifico.

Fra le "verità" basate sull'emotività irrazionale tipica delle culture oscurantiste vengono citati:
--- il timore di cambiamenti climatici che, da milioni di anni caratteristici del pianeta Terra, sono oggi imputati quasi esclusivamente alle attività antropiche;
--- le limitazioni alla ricerca biotecnologica che impediscono il raggiungimento di conquista e che contribuirebbero ad alleviare i problemi di alimentazione dell'umanità (e qui penso che qui gli studiosi si riferiscano agli organismi geneticamente modificati);
--- il terrorismo sui rischi sanitari dei campi elettromagnetici che vuole inporre limiti precauzionali ingiustificati, enormemente più bassi di quelli accreditati dalla comunità scientifica internazionale;
--- il permanere di una condizione di emergenza nel trattamento e nello smaltimento dei rifiuti di ogni tipo, condizione che è figlia del respingimento aprioristico di soluzioni tecnologiche adottate da decenni in tutti i paesi industriali avanzati;
--- la sistematica opposizione ad ogni tentativo di dotare il paese di infrastrutture vitali per la continuità dello sviluppo e per il miglioramento della qualità della vita della popolazione;
--- la preclusione dogmatica dell'energia nucleare, che penalizza il paese non solo sul piano economico e dello sviluppo, ma anche nel raggiungimento di obiettivi di razionalizzazione e compatibilità ambientale nel sistema energetico.

A questa posizione hanno risposto numerosi biologi, scienziati anche loro, che hanno ribattuto punto per punto e hanno difeso la fondatezza delle attuali conoscenze secondo cui: si sta osservando un lento graduale riscaldamento del pianeta; la diffusione di organismi geneticamente modificati non è detto che porti un aumento delle produzioni agricole o contribuisca a combattere la fame nel mondo; la diffusione della coscienza ecologica ha contribuito a diffondere norme e procedure per diminuire i rifiuti e gli inquinamenti. Questi studiosi, nel difendere il principio di precauzione, sostengono che la diffusione della cultura scientifica è certamente indispensabile per il miglioramento dell'ambiente. Un manifesto nobile che si aggiunge ad altri che stanno circolando, per la difesa della libertà della ricerca scientifica, minacciata da restrizioni nei finanziamenti da parte dell'attuale governo di destra.

Chi scrive è ben convinto che la conoscenza soltanto ci può salvare dalle trappole in cui siamo caduti, ma è altrettanto convinto che le scelte tecniche, produttive e merceologiche, che non hanno niente a che fare con la scienza e la libertà della scienza --- anch'essa un valore da rivendicare e difendere --- sono fatte sulla base di valori, legittimi, ma suscettibili di discussione e critica. E' legittimo auspicare la moltiplicazione delle autostrade, delle centrali nucleari e degli inceneritori, se si è convinti che siano un valore l'aumento delle automobili in circolazione, dei consumi di benzina e di elettricità e che non siano accettabili altri sistemi per eliminare i rifiuti solidi. Ma è altrettanto legittimo ritenere che tali scelte sono contrarie ad altri valori, come la stabilità delle valli, l'aria pulita, una minore diffusione degli imballaggi, eccetera, è legittimo ritenere valori il silenzio, il guardare la natura circostante. Alcuni scienziati possono non condividerli ma è, a mio modesto parere, difficile negarne l'esistenza e liquidare come oscurantista chi li condivide e cerca, con la parola e con l'azione, di diffonderli come importanti per una collettività.

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