sabato 13 novembre 2010

Tecnologie intermedie

La Gazzetta del Mezzogiorno, giovedì 17 giugno 2010

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Tecnica è una parola che usiamo continuamente parlando della fabbricazione e dell’uso degli innumerevoli oggetti che ci circondano: un termine antichissimo e modernissimo. “Tecnica” viene dalla parola “techne” con cui gli antichi greci, oltre duemila anni fa, indicavano l’”arte”, la capacità di fare le cose, le cose utili. Da duecento anni i sociologi discutono il ruolo che la tecnica ha avuto nel modificare, nel bene e nel male, la società, la cultura. Forse l’analisi più approfondita del tema è stata fatta nel 1933 dal sociologo e urbanista americano Lewis Mumford (1895-1990) nel libro “Tecnica e cultura”, tradotto in italiano nel 1961 e ristampato di recente. Per ogni società la tecnica ha differenti significati: a rigore era “tecnica” quella con cui gli egiziani sollevavano enormi blocchi nelle piramidi, l’uso dell’aratro per modificare il suolo da coltivare, il funzionamento delle norie che sollevavano l’acqua nei nostri campi ancora pochi decenni fa. Così come è “tecnica” la possibilità di aumentare il rendimento delle coltivazioni agricole o la costruzione di una bomba atomica, la possibilità di comunicare e di depurare le acque di fogna, di innalzare grattacieli e far parlare televisori e cellulari.

In maniera grossolana si possono considerare diversi livelli della tecnica; noi nel mondo industrializzato grazie alla tecnica possiamo fabbricare e usare frigoriferi e processi di trasformazione e conservazione dei prodotti alimentari, trasportare l’acqua potabile attraverso le montagne, produrre e distribuire elettricità e prodotti petroliferi; ma questo livello della tecnica è accessibile a un paio di miliardi di persone, fra tutti gli abitanti della Terra. Nella stessa Terra vive oltre un miliardo di persone che devono fare chilometri a piedi per procurarsi un po’ d’acqua potabile, che essiccano la carne o la frutta esponendole al sole, che abitano in baracche senza gabinetti.

Questi nostri concittadini planetari a “tecnica zero” sono afflitti da malattie fin dalla nascita, hanno una vita breve e stentata, se ne rendono conto e vorrebbero migliorare venendo ad attingere alle fonti della tecnologia dei paesi industriali dai quali sono spesso respinti. Gli aiuti ufficiali ”allo sviluppo” consistono nell’inviare ai paesi poveri gli stessi macchinari che usiamo noi e che si rivelano spesso dei fallimenti perché mancano possibilità di manutenzione, strade, linee elettriche, rifornimenti di carburanti.

Fortunatamente da molti anni esistono in vari paesi dei gruppi di persone che si interrogano su come è possibile rendere meno faticosa e dolorosa la vita dei poveri e poverissimi della Terra con soluzioni tecniche adatte alla loro cultura, conoscenza, comprensione e alla risorse disponibili sul posto, tecniche “intermedie”, nel senso che rappresentano il primo passo verso la liberazione dall’arretratezza e dalla miseria, semplici, comprensibili anche ai ragazzi e alle donne che attualmente mancano di tutte le cose essenziali per una vita dignitosa.

La cultura delle tecnologie intermedie è cominciata negli anni sessanta del Novecento, quando la fine del colonialismo ha messo a nudo le condizioni degli abitanti di vaste zone dell’India, dell’Africa, dell’America latina. Uno dei pionieri è stato il Mahatma Gandhi (1869-1948) che, nella lotta nonviolenta per la liberazione dell’India dal dominio coloniale inglese, ha mostrato che con tecniche semplici era possibile risolvere quei problemi della vita quotidiana per i quali fino allora avevano dovuto dipendere dalla “civiltà” occupante.

La lezione gandhiana è stata ripresa da Ernst Schumacher (1911-1977), un economista tedesco che era migrato in Inghilterra per sfuggire ai nazisti e che ha organizzato il primo centro per lo studio di tecnologie intermedie da trasferire nei paesi emergenti. Questa visione del mondo è stata descritta da Schumacher in un libro del 1972 intitolato: “Piccolo è bello: l’economia come se la gente contasse qualcosa”. Nel mondo esistono oggi vari centri che studiano, sperimentano e trasferiscono tecnologie intermedie; spesso si tratta di gruppi di volontari, gruppi missionari cristiani, laboratori universitari e piccole imprese tutti impegnati in un grande progetto di “ingegneria della carità”. Il criterio guida sta nella massima che se si regala un pesce a una persona affamata, quella mangia un giorno, se gli si insegna a pescare mangerà per tutta la vita.

I temi principali delle “tecnologie intermedie” riguardano acqua, energia, “abitazioni”, conservazione degli alimenti. La maggior parte degli economisti e delle persone ”sagge” ignorano o ironizzano su questa visione della tecnica che non contribuisce alla crescita finanziaria, che ha come fine “soltanto” il benessere dei più poveri che non contano niente. Fortunatamente le iniziative di “tecnologie intermedie” stanno attirando l’attenzione delle agenzie delle Nazioni Unite che si occupano di alimentazione, sviluppo, abitazioni e anche ambiente, perché molte soluzioni di tecnologie intermedie sono anche ecologicamente corrette. Alcuni laboratori hanno anche il finanziamento della Comunità Europea. Il criterio generale sta nell’uso delle risorse naturali locali e delle conoscenze e tradizioni delle singole comunità.

Un ruolo importante hanno le fonti energetiche rinnovabili, solare e eolico, ma con macchinari ben diversi da quelli che usiamo noi: si tratta di utilizzare piccoli pannelli fotovoltaici capaci di alimentare una radio di villaggio o un frigorifero in cui conservare i vaccini; con semplici dispositivi solari è possibile cuocere il cibo dove mancano combustibili o distillare e purificare le acque saline o inquinate, essiccare le derrate alimentari. Importanti sono dei semplici dispositivi per sollevare l’acqua dai pozzi quando non è disponibile elettricità, magari con quelle pompe a mano che si usavano da noi e che abbiamo dimenticato. Una “casa” essenziale per i paesi poveri può essere ben diversa dai bei prefabbricati che si producono e costruiscono in Italia; i servizi igienici elementari sono ben diversi dalle lussuose vasche da bagno con idromassaggio. C’è moltissimo da fare, inventare e lavorare. Fortunatamente qualcosa si sta muovendo anche in Italia, uno dei primi centri è stato creato a Cesena su ispirazione del sociologo ”gandhiano” Carlo Doglio (1914-1995); altri speriamo che nascano e crescano.

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