martedì 8 febbraio 2011

Una etica dell'ambiente

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Uno dei grandi temi del dibattito culturale e anche politico, anche in Italia, riguarda la parola “ambiente”. Da molti anni esiste un “Ministero dell’ambiente” che ha come compito delle azioni per la “difesa dell’ambiente”; ma da quale nemico e perché l’ambiente va difeso ? Se intavolate il discorso con qualche vostro conoscente vi sentirete rispondere che lui è da sempre appassionato di ecologia, amico dell’ambiente; sono certamente amiche dell’ambiente le persone che protestano contro le discariche di rifiuti o contro gli inceneritori, sono certamente amiche dell’ambiente le persone che visitano religiosamente i parchi naturali, quelle che comprano l’ultimo modello di automobile euro 5 che, promettono, inquina di meno, eccetera.

Ma allora chi sono i nemici ? gli industriali che producono merci inquinanti e le cui fabbriche buttano nell’aria fumi e diossine e polveri ultrasottili ? Ma se chiedete ai dirigenti e ai proprietari delle industrie vi sentite rispondere che non c’è nessuno amico dell’ambiente più di loro. Allora i nemici saranno gli operai e i contadini ? Ma se sono proprio quelli che danneggiano di meno l’ambiente non avendo soldi sufficienti neanche per pagare il mutuo e l’elettricità, anzi sono avvelenati nelle fabbriche e nei campi.

Il fatto è che gli esseri umani sono in una situazione schizofrenica, ciascuno nemico e amico dell’ambiente, una situazione che è cominciata diecimila anni fa, a quando i nostri antenati sono diventati coltivatori e allevatori e hanno imparato a estrarre le pietre dalle rocce, a tagliare e bruciare gli alberi per scaldarsi e per fabbricare metalli e hanno usato i metalli e i minerali per soddisfare i loro bisogni elementari, di alimentazione, di movimento, di abitazione. Un processo sempre più rapido e intenso a mano a mano che aumentava la popolazione umana e che progrediva la tecnica e crescevano i bisogni e il livello di vita. Ogni progresso tecnico e merceologico inevitabilmente ha alterato un pezzo di “ambiente”, di mondo naturale, e tale alterazione ha coinvolto, talvolta con danni alla salute e alla stessa vita, gli stessi protagonisti del progresso e altre persone.

Per dirla in termini banali, ogni litro di benzina che acquistiamo ha provocato l’inquinamento e ha compromesso un pezzettino di salute di qualcuno, quando il petrolio è stato estratto, o quando è stato raffinato, o quando viene immesso nel serbatoio dal benzinaio che respira una buona boccata di idrocarburi. Si badi bene che molti effetti negativi sulla salute di “qualche altra persona” derivano in genere non da azioni malvagie o criminali, ma da azioni utili e lodevoli, come lo spostarsi o il comprare bottiglie di acqua o camminare in strade illuminate e sicure.

Ci sono anche azioni criminali che danneggiano l’ambiente e la salute: chi scarica rifiuti velenosi in un fiume, chi getta rifiuti tossici sul terreno, chi fa intenzionalmente uscire gas nocivi nell’aria, ma questi sono crimini abbastanza ben riconoscibili e che possono (potrebbero) essere colpiti con adeguate leggi, proprio come chi ruba in una casa o rapina un passante. Più complicato è il problema di chi altera l’ambiente facendo cose buone e utili. Sempre per restare a esempi banali, chi si muove in automobile immette nell’aria gas velenosi che sono respirati da chi cammina a piedi sul marciapiede; l’automobilista ha un vantaggio, del tutto lecito, ma un’altra persona è danneggiata e non sa da chi e non sa neanche di essere stato “un poco” avvelenato da uno delle migliaia di automobilisti che lo hanno sorpassato. Gli economisti hanno ben riconosciuto che l’inquinatore ha un utile economico e l’inquinato ha un danno economico (il prezzo delle medicine o il ricovero in ospedale) ma questi benefici e costi sono difficili da misurare come è difficile ristabilire una giustizia.

Solo “lo Stato” può, con adeguate leggi, diminuire l’effetto inquinante (per esempio obbligando la vendita di benzine meno inquinanti). Qualcuno ha proposto di invitare gli inquinatori ad una etica nei loro comportamenti, considerando che chi inquina arreca danno “al prossimo”. Tutte le religioni raccomandano l’amore per il prossimo, invitano ad aiutare il ferito caduto sulla strada: a questo punto occorre elaborare una nuova etica che raccomandi agli inquinatori di inquinare di meno proprio per non danneggiare, non solo singoli individui, difficilmente identificabili, ma “il prossimo”.

E qui si casca in una serie di contraddizioni: per rispettare la salute del prossimo un agricoltore dovrebbe usare meno pesticidi, ma in questo modo produrrebbe meno grano o meno pesche e ne soffrirebbero gli affamati o i poveri che dovrebbero pagare di più il pane o le pesche: saranno ben “prossimo” anche loro ! Un industriale, per evitare di intossicare con i suoi fumi i vicini, dovrebbe mettere dei filtri sui camini della fabbrica, col rischio che i maggiori costi provochino il licenziamento degli operai, che sono prossimo anche loro ! Le cose sono ancora più complicate perché alcune azioni danneggiano un “prossimo lontano” nello spazio; alcune città, per proteggere la salute del “prossimo”, dei loro cittadini, si liberano dei rifiuti immettendoli nel mare e il mare li porta lontano e i rifiuti intossicano il pesce che sarà mangiato da persone magari lontane centinaia di chilometri. Ancora peggio: alcune azioni (sempre legittime, anzi virtuose) di oggi modificano l’ambiente e arrecano danno alle generazioni che verranno, al ”prossimo del futuro”.

E’ il caso, tante volte citato, dell’effetto serra; la nostra generazione gode (legittimamente) dei benefici dell’energia, dell’elettricità, dei prodotti industriali, beni ottenuti immettendo nell’aria gas che si accumulano e che faranno sentire i loro effetti, sotto forma di cambiamenti climatici dannosi, alle generazioni che verranno nei prossimi decenni o secoli. Del resto noi stessi, oggi, subiamo danni e paghiamo costi, in soldi e in vite umane, per le frane e alluvioni provocate dall’imprevidenza delle generazioni passate che hanno usato violenza all’ambiente tagliando i boschi, distruggendo gli argini dei fiumi. Con la differenza che i nostri predecessori non sapevano che avrebbero danneggiato noi, secoli dopo, mentre noi abbiamo la certezza che alcune nostre azioni imprevidenti danneggeranno chi verrà secoli dopo di noi.

Ci sono ormai delle cattedre universitarie di “etica dell’ambiente”, ma mancano, a mio parere, indicazioni su quello che è bene fare o --- piuttosto --- “non fare”, se si vuole risparmiare dolori al prossimo, vicino, lontano nello spazio e lontano nel futuro. E sarà il caso di cominciare a pensarci.

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