domenica 18 novembre 2012

Un piano per la difesa del suolo e delle acque

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Si potrebbe scrivere una storia dell’Italia elencando le perdite di vite, di ricchezza, di beni, conseguenti le frane e le alluvioni e la siccità, tutte ricorrenti, in tutte le parti d’Italia, con le stesse modalità e cause, tutte rapidamente dimenticate. Come anno zero può essere preso il 1951, l’anno della grande alluvione del Polesine provocata dal dissesto idrogeologico del lungo periodo fascista e di guerra durante il quale si è aggravato il taglio dei boschi ed è venuta meno la manutenzione dei fiumi.

In quell’anno del grande dolore nazionale, ci si rese conto che la ricostruzione dell’Italia avrebbe dovuto dare priorità alle opere di difesa del suolo; molte indagini e inchieste misero in evidenza la fragilità di molti corsi d’acqua, oltre al Po, in cui i detriti dell’erosione si erano depositati nell’alveo e avevano fatto diminuire la capacità ricettiva dei corpi idrici. Inoltre era già stata avviata una graduale occupazione e privatizzazione delle fertili zone golenali, originariamente appartenenti al demanio fluviale proprio perché ne fosse conservata, libera da ostacoli di edifici e strade, la fondamentale capacità di accoglimento delle acque fluviali in espansione nei periodi di intense piogge.

mercoledì 17 ottobre 2012

Concilio e ecologia

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 16 ottobre 2012

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Il mondo cattolico, ma più in generale i cristiani e anche i non cristiani, si stanno interrogando sul significato e sugli effetti del Concilio Vaticano II, iniziato cinquant’anni fa e concluso solennemente il 7 dicembre 1965. Quando il papa Giovanni XXIII decise di chiamare a raccolta la gerarchia della Chiesa per indurla ad interrogarsi sui mutamenti sociali e politici del XX secolo, sui “segni dei tempi”, uno di questi “segni” riguardava i rapporti fra gli esseri umani e l’ambiente. In Europa e in Italia il problema era poco sentito. In Italia esistevano soltanto l’associazione naturalistica Pro Natura e quella ambientalista Italia Nostra. “Ecologia” era parola praticamente sconosciuta, confinata in una sola cattedra universitaria marginale a Perugia.

martedì 31 luglio 2012

SM 3474 -- Il caso ILVA -- 2012

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 31 luglio 2012

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Il caso ILVA riassume in se tutti gli aspetti e le contraddizioni della società industriale moderna basata sulla produzione e sul commercio di cose, di beni materiali. L’acciaio è una di queste merci utili, anzi indispensabili. Se l’acciaio improvvisamente sparisse scomparirebbero le automobili, i frigoriferi, le lavatrici, le case crollerebbero per il venir meno dell’armatura del cemento, non ci sarebbero ponti per attraversare i fiumi, si fermerebbe la stessa agricoltura. La produzione mondiale di acciaio ammonta ogni anno a circa 1400 milioni di tonnellate; quella italiana a circa 25 milioni di tonnellate, circa la metà fabbricata a Taranto. Purtroppo il processo per la produzione dell’acciaio è lungo e inquinante ed è dannoso per la salute dei lavoratori dentro la fabbrica, e dei loro familiari che abitano i quartieri vicini.

martedì 24 luglio 2012

Bacini idrografici come confini provinciali

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 24 luglio 2012


Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

La proposta governativa di accorpare alcune delle attuali province, per risparmiare soldi, potrebbe offrire l’occasione per una originale operazione culturale ed ecologica. I confini fra le regioni e le province italiane coincidono, in molti casi, con quelli fra gli stati esistenti prima dell’unificazione d’Italia del 1861. Molti di tali confini erano rappresentati dai fiumi che, in quei tempi, erano facilmente difendibili da una invasione nemica e rendevano facile controllare i commerci e riscuotere le imposte: ne sono esempi il Ticino fra Piemonte e Lombardia, il Po fra Veneto e Emilia, eccetera.

La cultura ecologica odierna ha invece riconosciuto che il fiume è punto non di divisione, ma di unione fra terre vicine e ha rivalutato l’importanza del bacino idrografico, quel territorio i cui confini, ben definiti geograficamente, coincidono con gli spartiacque dei monti e colline. Nel bacino idrografico, che comprende il fiume principale e i suoi affluenti, torrenti e fossi, si svolgono tutte le attività agricole, industriali, urbane; nel bacino idrografico vengono immessi tutti i rifiuti solidi, liquidi e anche gassosi, generati dalle attività umane, ma anche i prodotti dell’erosione dei terreni: Tutte le frazioni solubili dei rifiuti, dai residui dei concimi, a quelli industriali, ai rifiuti urbani, immessi nel bacino, si disperdono nelle acque superficiali e sotterranee e vengono trascinate dalle piogge verso il mare che funziona da grande collettore finale di tutti gli eventi ecologici ed umani che si sono svolti all’interno del bacino.

martedì 17 luglio 2012

Gli oceani, bene comune

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 17 luglio 2012

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Siamo da settimane in un periodo di grande caldo e ci hanno spiegato che deriva dalla circolazione anomala di grandi masse di aria da un continente all’altro, probabilmente a causa dell’”effetto serra” dovuto all’inquinamento atmosferico che nessun accordo internazionale è finora riuscito a rallentare. Forse se si vuole capire qualcosa bisogna passare dall’osservazione dei continenti, che sono appena il 30 percento dalla superficie terrestre, a quella di ciò che succede nell’altro settanta percento costituito dalla superficie degli oceani, l’enorme massa di acqua in continuo movimento.

Nella cultura europea si fa fatica a considerare gli oceani che sono lontani, abituati come siamo a piccoli mari interni praticamente chiusi, quasi dei laghi come l’Adriatico, lo stesso Mediterraneo, il Mar Nero; eppure i grandi oceani della Terra bagnano le lunghissime coste delle Americhe, dell’Asia, dell’Africa. Con la loro grande superficie e la loro massa di acqua salina di 1400 milioni di miliardi di metri cubi, gli oceani rappresentano il più grande collettore di energia solare; il diverso riscaldamento solare alle varie latitudini tiene in moto le acque degli oceani; quelle calde delle zone tropicali scorrendo verso le zone fredde assicurano un clima più dolce a zone che altrimenti sarebbero freddissime. Nello stesso tempo anche piccole variazioni di temperatura delle acque oceaniche fanno sentire i loro effetti sui continenti facendo aumentare o diminuire, anche sotto forma di tempeste, le piogge che rendono fertili foreste e pianure, anche se talvolta provocano lungo le coste sconvolgimenti sotto forma di tornado o di alte onde anomale.

sabato 7 luglio 2012

Diario di un viaggio dove il lavoro è pericoloso, 1989

Consumi e Società, 3, (3), 15-18 e 31 (maggio-giugno 1989)

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

"Lavorare fa male alla salute": era uno degli slogan della contestazione degli anni 60 del Novecento ed effettivamente la storia del lavoro nel mondo è segnata da dolori, fatiche, malattie, incidenti mortali. Se il lavoro è un diritto umano come la salute, le condizioni di lavoro malsane e pericolose sono atti di violenza, violazioni di diritti fondamentali. Eppure tali condizioni purtroppo sono ancora diffuse, sulla base del principio che le condizioni di lavoro piu' umane costano denaro agli imprenditori, rallentano la produzione, richiedono cambiamenti nei cicli produttivi e, in una parola, fanno diminuire i profitti. In questo quadro è stata importante la decisione del Senato di costituire una Commissione di inchiesta sulle condizioni di lavoro nelle aziende col compito di indagare nell'Italia del secondo miracolo economico, di guardare in quali condizioni si lavora, quali nuove nocività vengono introdotte dalle nuove tecnologie.

venerdì 6 luglio 2012

Che cosa produrre

controlacrisi.org/ombrerosse, n. 5, sabato 7 luglio 2012
http://www.controlacrisi.org/notizia/Ambiente/2012/7/6/24266-ambiente-che-cosa-produrre/

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

“Lavoro” è parola magica, ripetuta da tutti: si esce dalla crisi se aumenta l’occupazione non tanto per amore del lavoro o dei lavoratori ma perché solo così i lavoratori, cioè praticamente la totalità dei cittadini di un paese, possono guadagnare del denaro che possono spendere per comprare merci e servizi prodotti da altro lavoro. Il fine del lavoro è infatti produrre merci e servizi. Cioè, sostanzialmente, merci, perché anche i servizi sono resi possibili da qualche ”cosa” prodotta, venduta o acquistata per denaro. Il principale servizio, la vita quotidiana, è reso possibile perché qualcuno produce, col proprio lavoro, ferro, alluminio, bevande, patate, carne, plastica, carrelli della spesa, e trasporta, carica e scarica verdura e maiali. Il servizio mobilità, la possibilità di andare al lavoro o in vacanza, è assicurato da quei tanti chili di acciaio, plastica, gomma, alluminio, eccetera che si chiama automobile che si muove soltanto se viene alimentata con tanti chili di un prodotto della raffinazione del petrolio. Il servizio illusione è reso possibile dalla raffinata rete telematica che alimenta le sale giochi, le macchine da poker e dalle persone che raccolgono o convogliano scommesse. Tutto lavoro. A rigore, anche i servizi evasione e prostituzione sono resi possibili dal lavoro di chi produce e vende stupefacenti, o accompagna le ragazze al posto “di lavoro” sulla strada. Ciascuna società scoraggia alcuni lavori perché producono merci e servizi eticamente sconsigliabili e ne incoraggia altri.

lunedì 2 luglio 2012

Produrre che cosa ? (1996)

Liberazione, 30 luglio 1996

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Si parla tanto di bisogno di nuova occupazione, la cui mancanza è veramente la fonte di ogni malessere sociale, di tensioni, di ingiustizia. E si sente parlare anche di azioni politiche ed economiche per aumentare l'occupazione. Mi pare però che si dimentichi che il lavoro produce merci e servizi e che da questi si deve partire, se si vuole stabilire quali e quanti posti di lavoro si vogliono creare e dove nel territorio. Merci e servizi non sono neutrali e non è vero che rispondono alla domanda dei consumatori, come se la produzione e il mercato fossero "al servizio" dei cittadini-lavoratori-consumatori.

E non è neanche vero che i servizi sono qualcosa di immateriale, che stiamo andando verso una società dell'informazione, biotronica, virtuale, dematerializzata, in cui ci sarà sempre meno bisogno di merci fisiche, materiali, e tutto sarà basato sull'immagine e l'informazione. L'informazione non è qualcosa sospeso nell'etere: chi sta leggendo questo giornale trae le notizie da un intreccio di fibre di cellulosa che era, poco tempo fa, "dentro" un albero, che ha percorso migliaia di chilometri prima di diventare carta (insieme a scorie e rifiuti), prima che l'inchiostro, tratto dai prodotti petrolchimici, lo coprisse di lettere e segni. L'informazione è trasportata da macchine "elettroniche" che sono "fatte" di oggetti materiali, alcuni molto più sofisticati del "ferro": oro, silicio, terre rare, tratti dalla natura con processi tecnici che richiedono materie prime, lavoro, energia, che generano inquinamento e scorie.

martedì 26 giugno 2012

Rio+20

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 26 giugno 2012

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Le diecine di migliaia, per la maggior gloria del turismo brasiliano, di persone che si sono riunite a Rio de Janeiro la settimana scorsa in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite “Rio+20. Lo sviluppo sostenibile”, hanno ormai fatto le valige e sono tornate a casa. Erano presidenti, ministri, sottosegretari, funzionari, consulenti dei governi e delle grandi potenze economiche, finanziarie e industriali, i lobbysti, e poi rappresentanti delle innumerevoli associazioni internazionali e nazionali che hanno organizzato contro-conferenze.

La conferenza ufficiale si è svolta a venti anni di distanza da un’altra che si era tenuta ugualmente nella grande città brasiliana e che era intitolata “Ambiente e sviluppo”. In realtà tutto era cominciato ancora venti anni prima, nel 1972, a Stoccolma con la prima grande conferenza dell’”età ecologica”, intitolata “L’ambiente umano. Una sola terra”. A quella prima conferenza delle Nazioni Unite, nel 1972, partecipavano per la prima volta paesi che uscivano dalla lunga notte di secoli di colonialismo e che chiedevano un ambiente e una economia rispettosi del loro diritto ad usare le proprie risorse naturali, forestali, minerarie, energetiche, per il proprio sviluppo ”umano”, per l’appunto, nel rispetto dell’ambiente naturale che rappresenta la vera comune casa degli uomini.

venerdì 22 giugno 2012

Anniversario del referendum nucleare 2011

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 12 giugno 2012

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Sembra passato un secolo, eppure è solo anno da quando gli italiani hanno espresso a grandissima maggioranza, con due referendum “ambientali”, la volontà di impedire la costruzione di nuove centrali nucleari e di impedire che avide società private si approprino delle aziende che distribuiscono l’acqua potabile nelle nostre case (6 miliardi di metri cubi all’anno) e dei molti miliardi di euro all’anno.ricavati dalla vendita di un bene, l’acqua, che è di tutti noi. Il referendum contro l’energia nucleare ha fortunatamente fermato un’avventura che rischiava di finire in un disastro ecologico ma anche finanziario.

venerdì 15 giugno 2012

Marxismo e ecologia


MetropoLis, marzo 2010
http://www.lsmetropolis.org/2010/03/marxismo-e-ecologia-2/
ScriptaMinima #3178

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Ecologia: scienza borghese ?

Cadono in questo 2010 quarant’anni dalla prima “Giornata della Terra” dell’aprile 1970; l’”ecologia” veniva presentata alla opinione pubblica mondiale come una occasione di cambiamento verso rapporti meno violenti fra gli esseri umani e l’ambiente sull’onda del grande movimento di contestazione di studenti e lavoratori contro la società capitalistica e le sue violenze, contro la società dei consumi, nella speranza dell’avvento di una più giusta società socialista, meno violenta nei confronti degli esseri umani e della stessa natura. La borghesia capì subito bene il pericolo implicito, il potenziale eversivo dell’ecologia --- un libro americano apparve col titolo: “Ecologia, scienza sovversiva”, un articolo di Virginio Bettini del 1970 era intitolato esplicitamente “L’ecologia é rossa” --- e diventò rapidamente amante dell’ecologia col preciso intento di mostrare che l’ecologia era qualsiasi cosa fuorché “rossa”, confortati dai molti nipotini di quel dottor Andrew Ure (1778-1857), che nel suo libro "La filosofia delle manifatture" (1835) contestava le proposte di riduzione dell'orario di lavoro dei ragazzi, primi tentativi di ecologia del lavoro, dimostrando "scientificamente" che i bambini che lavoravano dodici ore al giorno nelle filande stavano meglio di salute ed erano più alti di statura dei loro ragazzacci coetanei che "perdevano tempo" a giocare e a non far nulla o ad andare a scuola ! La società del libero mercato avrebbe risolto tutti i problemi ecologici. Del resto col loro credo “industrialista” che cosa avevano mai capito Marx e Engels dell’ecologia ? non era stato forse Lenin che aveva detto che il comunismo è “soviet e elettrificazione” ? Ma è poi vero ? Che cosa avevano davvero detto i fondatori del comunismo sui rapporti fra “l’uomo e l’ambiente” ?

martedì 17 aprile 2012

Il settantadue

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 17 aprile 2012

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Il 1972, quarant’anni fa, fu il culmine di un vasto movimento di “contestazione ecologica” che era cominciato dieci anni prima: la denuncia dei danni dei pesticidi clorurati come il DDT; degli erbicidi usati nel Vietnam per distruggere, in quel lontano, paese asiatico, le foreste tropicali in cui si rifugiavano i partigiani antiamericani; della contaminazione radioattiva seguita agli esperimenti nucleari nell’atmosfera; dell’inquinamento dovuto alle fabbriche e alle perdite di petrolio nel mare; la comparsa delle alghe nei mari; la crescita della popolazione mondiale, avevano richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica sui guasti arrecati all’ambiente naturale e umano.

Le fotografie della Terra scattate dagli astronauti da grande distanza avevano mostrato che il nostro pianeta è una piccola palla azzurra nell’immensità degli spazi interplanetari, l’unica casa che abbiamo da cui trarre cibo, acqua, minerali, energia e in cui immettere le scorie e i rifiuti delle nostre attività, proprio come avviene nelle navicelle spaziali. L’immagine della Terra come navicella spaziale, “Spaceship Earth”, ebbe forte effetto emotivo tanto che si moltiplicarono i dibattiti e gli incontri, a cominciare dagli Stati Uniti, intrecciati con le altre contestazioni degli studenti e degli operai degli stessi anni sessanta.

lunedì 9 aprile 2012

Ambiente e lavoro

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 10 aprile 2012


Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

La marcia dei lavoratori dell’acciaieria di Taranto, il 21 marzo 2012, in difesa del posto di lavoro “contro” gli “ambientalisti” merita qualche considerazione più generale. Nella società industriale sono spesso contrapposti differenti diritti. La “contestazione” chiede il rispetto di alcuni diritti fondamentali, da quelli di un lavoro decente e equamente retribuito nelle fabbriche e nei campi, a quelli “ecologici”, che i fumi e i rifiuti delle attività produttive non avvelenino la popolazione. Gli imprenditori, da parte loro, hanno il ”diritto” di trarre, dal denaro investito per produrre merci mediante il lavoro umano, un profitto necessario per poter investire in altre fabbriche che producono altre merci mediante altro lavoro umano.

giovedì 5 aprile 2012

Malattie dei ricchi malattie dei poveri

Relazione al IV Convegno "Se vuoi la pace prepara la pace: continenti e popoli oltre i blocchi", Firenze

Testimonianze, 29, 205-213 (marzo-maggio 1986)
Anche in: Giovani Realtà (Lecce), 6, (17/18), 107-115 (gennaio-giugno 1986)
Anche in: Il Tetto, 23, (136/137), 422-430 (luglio-ottobre 1986)
Anche in: P. Serreni (a cura di), "Educazione e cultura della pace", Roma, Editori Riuniti, 1988, p. 78-87
Anche relazione al seminario CIDI/CIES, Ariccia, 28 febbraio 1988, in: M. Pinzani Tanini (a cura di), "Per una cultura di sviluppo nella scuola", Angeli, Milano, 1989, p. 67-74

Malattie dei ricchi malattie dei poveri

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Il medico islamico al-Asuli, vissuto a Bokhara nove secoli fa, ha scritto un trattato di farmacologia intitolato: "Malattie dei ricchi - malattie dei poveri". Anche oggi i paesi ricchi e i paesi poveri sono entrambi malati con malattie fisiologiche ed economiche che passano da una parte all'altro e rendono malato il grande, unico corpo della comunità umana.La malattie fisiologiche dei ricchi provengono dalla insoddisfazione, dall'inquinamento, dalla necessità di rapinare le risorse naturali altrui, specialmente dei paesi poveri, per sopravvivere, dalla necessità di stare sempre in una situazione di pre-guerra per evitare che i poveri si ribellino, e dallo stare in una situazione di continua tensione in vista di tale ribellione. Le malattie fisiologiche dei poveri derivano dalla scarsità di cibo, di acqua, di energia, dalle abitazioni malsane, dall'analfabetismo, dalla sovrappopolazione. Da qui un senso di ribellione e la ricerca di una cura nella conquista, anche violenta, dell'indipendenza e della giustizia.Gli ultimi quaranta anni sono stati solo apparentemente anni di pace: centinaia di conflitti sono esplosi nei paesi poveri, alimentati anche dai paesi ricchi, interessati a continuare lo sfruttamento degli stessi paesi poveri e a vendergli armi.La situazione peggiorerà sempre fino a quando le classi dirigenti non si accorgeranno che la cura delle malattie dei poveri è essenziale anche per guarire le malattie dei ricchi. Ma i paesi ricchi possono guarire soltanto con una cura dolorosa e traumatica che richiederà la revisione radicale dei modi di produzione e di consumo, degli stili di vita, del comportamento nei confronti delle risorse naturali e ambientali.

lunedì 2 aprile 2012

L'elio e il teorema di Hardin sui beni comuni

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 3 aprile 2012

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Con questo bel nome, l'elio, è il secondo elemento come abbondanza nell'universo, anche se sulla superficie della Terra è abbastanza scarso. L’elio è stato scoperto per la prima volta nel 1868 sul Sole (per questo gli è stato dato il nome della nostra stella) attraverso l'analisi spettrografica della radiazione solare, quasi contemporaneamente dall’astronomo Pierre Janssen (1836-1920) e dagli inglesi Norman Lockyer (1836-1920) e Edward Frankland (1825-1829). Il fisico italiano Luigi Palmieri (1807-1896) fu il primo a riconoscere la presenza dell’elio sulla Terra analizzando per via spettroscopica la lava del Vesuvio. Più tardi Sir William Ramsey (1852-1916) isolò il gas elio da un minerale contenente uranio. L'elio si forma infatti dall'uranio e dal torio che, nel loro decadimento radioattivo, emettono una o più particelle alfa, che sono nuclei di elio. Poiché, peraltro, l'elio è un gas molto leggero, tende a sfuggire all'attrazione terrestre, per cui attualmente la sua concentrazione nell'atmosfera è bassissima, di circa 0,0005 per cento.

lunedì 30 gennaio 2012

Lo spreco di cibo

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 31 gennaio 2012

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Le notizie di alcuni blocchi del trasporto stradale del gennaio 2012 hanno messo in evidenza che una parte, difficilmente quantificabile, delle derrate alimentari deperibili trasportate per strada si sono alterate e sono andate distrutte. E’ così apparsa la fragilità del “perfettissimo” sistema che ci condente, ogni mattina, di trovare pieni i banchi dei negozi, ogni giorno di far arrivare sulla nostra tavola gli alimenti sani e sicuri. Ciò è reso possibile grazie ad una lunga catena di eventi, un ciclo tenuto in moto da migliaia di persone nei campi, nelle fabbriche, nei camion, nei treni, nelle navi, che viaggiano giorno e notte, domeniche comprese, un ciclo in cui basta un piccolo intralcio per distruggere ricchezza alimentare e provocare guasti ambientali.

martedì 24 gennaio 2012

Se fossi una pecora ?

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 24 gennaio 2012

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Non esiterei a considerare il libro di Liliana Cori intitolato: “Se fossi una pecora verrei abbattuta ?” (Scienza Express edizioni, Milano), sullo stesso livello di “Primavera silenziosa”, il libro di Rachel Carson apparso negli Stati Uniti e in tutto il mondo nel 1962, cinquant’anni fa. Anche questo libro è scritto da una donna, una biologa che lavora presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche nello speciale Istituto che studia gli effetti dei veleni ambientali sul corpo umano. Con l’analisi delle sostanze tossiche nel sangue di numerose persone, specialmente donne, scelte fra quelle che vivono accanto a fabbriche inquinanti o a discariche di rifiuti tossici, è possibile capire come le sostanze tossiche arrivano, attraverso gli alimenti, fino al corpo umano.

mercoledì 18 gennaio 2012

Cinque minuti a mezzanotte

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 17 gennaio 2012.


Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Il doloroso incidente alla grande nave da crociera nel Mare Tirreno (13 gennaio 2012) può essere considerato una metafora, un tragico campione di quanto avviene nella “perfettissima” società moderna, Tremila persone pranzavano felici, le signore in eleganti vestiti, godevano le meritate vacanze in un sera di gennaio su una nave di avanzatissimo modello, un altro migliaio di persone si guadagnavano lo stipendio come camerieri, marinai, impiegati, quando la chiglia della bella nave è stata squarciata da uno scoglio, un pezzo di roccia nel mare. Improvvisamente le stesse persone si sono trovate scaraventate su scialuppe o in mezzo al mare, mentre il mare inghiottiva i bagagli, i vestiti, i risparmi di anni di vita.

martedì 10 gennaio 2012

A 50 anni dalla pubblicazione di "Primavera silenziosa"

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 10 gennaio 2012

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Nel 2012 cadono gli anniversari di vari importanti eventi ecologici. Mezzo secolo fa, nel 1962, apparve negli Stati Uniti il primo libro che aprì gli occhi dell’opinione pubblica alla gravità della crisi ambientale: “Primavera silenziosa”, scritto da Rachel Carson. Dieci anni dopo, nel 1972 si tenne a Stoccolma la conferenza delle Nazioni Unite sull’”Ambiente umano” e nello stesso anno apparve il libro del Club di Roma ”I limiti alla crescita”. Il decennio 1962-1972 si può considerare la “primavera dell’ecologia”, l’inizio di una nuova maniera di vedere i rapporti fra gli esseri umani e la natura, raccontati in diecine di libri, in migliaia di articoli.