martedì 17 luglio 2012

Gli oceani, bene comune

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 17 luglio 2012

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Siamo da settimane in un periodo di grande caldo e ci hanno spiegato che deriva dalla circolazione anomala di grandi masse di aria da un continente all’altro, probabilmente a causa dell’”effetto serra” dovuto all’inquinamento atmosferico che nessun accordo internazionale è finora riuscito a rallentare. Forse se si vuole capire qualcosa bisogna passare dall’osservazione dei continenti, che sono appena il 30 percento dalla superficie terrestre, a quella di ciò che succede nell’altro settanta percento costituito dalla superficie degli oceani, l’enorme massa di acqua in continuo movimento.

Nella cultura europea si fa fatica a considerare gli oceani che sono lontani, abituati come siamo a piccoli mari interni praticamente chiusi, quasi dei laghi come l’Adriatico, lo stesso Mediterraneo, il Mar Nero; eppure i grandi oceani della Terra bagnano le lunghissime coste delle Americhe, dell’Asia, dell’Africa. Con la loro grande superficie e la loro massa di acqua salina di 1400 milioni di miliardi di metri cubi, gli oceani rappresentano il più grande collettore di energia solare; il diverso riscaldamento solare alle varie latitudini tiene in moto le acque degli oceani; quelle calde delle zone tropicali scorrendo verso le zone fredde assicurano un clima più dolce a zone che altrimenti sarebbero freddissime. Nello stesso tempo anche piccole variazioni di temperatura delle acque oceaniche fanno sentire i loro effetti sui continenti facendo aumentare o diminuire, anche sotto forma di tempeste, le piogge che rendono fertili foreste e pianure, anche se talvolta provocano lungo le coste sconvolgimenti sotto forma di tornado o di alte onde anomale.

Vi sono poi variazioni periodiche della temperatura degli oceani che contribuiscono ai mutamenti del clima sui continenti, in aggiunta a quelli determinati dall’inquinamento atmosferico. Ma gli oceani hanno molti altri aspetti importanti ai fini della vita; pesano migliaia di miliardi di tonnellate gli esseri viventi che abitano gli oceani; oltre cento miliardi di tonnellate quelli che si formano e muoiono ogni anno, dalle alghe fotosintetiche unicellulari ad animali di tutte le dimensioni, legati fra loro da catene alimentari (quelle che nel parlare comune vengono descritte con la banale frase: “il pesce grande mangia il pesce piccolo”) con una diversità e ricchezza che conosciamo soltanto in piccola parte. Una parte di questi esseri viventi marini è oggetto della pesca oceanica che fornisce ogni anno circa 100 milioni di tonnellate di alimenti agli esseri umani.

Gli oceani sono una grande via di comunicazione; diecine di miliardi di tonnellate di merci ogni anno si spostano lungo gli oceani; sulle coste oceaniche si trovano i grandi porti, i grandi cantieri navali, le grandi raffinerie e industrie. Gli oceani sono anche la grande pattumiera dei rifiuti di tutto quanto avviene non solo lungo le loro coste, ma anche a grande distanza all’interno dei continenti. I gas delle attività industriali, trascinati dalle piogge, fanno aumentare l’acidità delle acque oceaniche e il loro potere corrosivo sulle barriere coralline. I rifiuti solubili in acqua prima o poi finiscono nei fiumi che portano negli oceani sostanze organiche, veleni, sostanze radioattive, pesticidi. A questo inquinamento si aggiunge quello dovuto al traffico e alle attività marittime, dalle perdite di petrolio, ai rifiuti gettati dalle grandi navi passeggeri e mercantili. La grande massa delle acque oceaniche è in grado di trasformare per via chimica e microbiologica molti dei rifiuti; ma molti altri, non degradabili come le materie plastiche, restano a lungo e anzi finiscono per galleggiare e addirittura si aggregano in grandi masse che coprono larghi tratti della superficie degli oceani, come quella specie di isola galleggiante di plastica osservata a nord delle isole Hawaii nell’Oceano Pacifico.

Col progressivo impoverimento delle riserve di petrolio e di idrocarburi sui continenti le compagnie petrolifere si spingono a perforare il fondo degli oceani a distanze sempre maggiori dalle coste, a profondità sempre maggiori. In questa avida ricerca di petrolio e gas si verificano incidenti come l’incendio del golfo del Messico dell’aprile 2010 o il recente incendio di gas naturale al largo della costa africana, e continue perdite di idrocarburi non biodegradabili. Molte delle offese provocate agli equilibri chimici e ecologici degli oceani hanno la loro origine nel fatto che gli oceani non sono di nessuno e quindi, al di fuori di una ristretta zona di mare vicino alle coste, che “appartiene” al paese che vi si affaccia, chiunque può farci quello che vuole: nel corso di centinaia di anni non è stato possibile formulare un diritto che consenta di usare senza violenza il più grande ”bene comune” esistente.

A noi, che pure ne siamo così lontani, anche culturalmente, gli oceani e i loro problemi dovrebbero interessare perché qualunque cosa avvenga sul pianeta Terra, casa comune di tutti noi esseri umani, ci riguarda; poi anche perché circa la metà delle merci che usiamo, dalle automobili, al petrolio, ai minerali, ai giocattoli, a frutta e verdura, a cereali, ci arriva dopo aver varcato gli oceani; e infine perché ci dicono che dalle mitiche isole Azzorre, in mezzo all’Oceano Atlantico, potrebbe arrivare un po’ di fresco per mitigare questa torrida estate.



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