venerdì 15 giugno 2012

Marxismo e ecologia


MetropoLis, marzo 2010
http://www.lsmetropolis.org/2010/03/marxismo-e-ecologia-2/
ScriptaMinima #3178

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Ecologia: scienza borghese ?

Cadono in questo 2010 quarant’anni dalla prima “Giornata della Terra” dell’aprile 1970; l’”ecologia” veniva presentata alla opinione pubblica mondiale come una occasione di cambiamento verso rapporti meno violenti fra gli esseri umani e l’ambiente sull’onda del grande movimento di contestazione di studenti e lavoratori contro la società capitalistica e le sue violenze, contro la società dei consumi, nella speranza dell’avvento di una più giusta società socialista, meno violenta nei confronti degli esseri umani e della stessa natura. La borghesia capì subito bene il pericolo implicito, il potenziale eversivo dell’ecologia --- un libro americano apparve col titolo: “Ecologia, scienza sovversiva”, un articolo di Virginio Bettini del 1970 era intitolato esplicitamente “L’ecologia é rossa” --- e diventò rapidamente amante dell’ecologia col preciso intento di mostrare che l’ecologia era qualsiasi cosa fuorché “rossa”, confortati dai molti nipotini di quel dottor Andrew Ure (1778-1857), che nel suo libro "La filosofia delle manifatture" (1835) contestava le proposte di riduzione dell'orario di lavoro dei ragazzi, primi tentativi di ecologia del lavoro, dimostrando "scientificamente" che i bambini che lavoravano dodici ore al giorno nelle filande stavano meglio di salute ed erano più alti di statura dei loro ragazzacci coetanei che "perdevano tempo" a giocare e a non far nulla o ad andare a scuola ! La società del libero mercato avrebbe risolto tutti i problemi ecologici. Del resto col loro credo “industrialista” che cosa avevano mai capito Marx e Engels dell’ecologia ? non era stato forse Lenin che aveva detto che il comunismo è “soviet e elettrificazione” ? Ma è poi vero ? Che cosa avevano davvero detto i fondatori del comunismo sui rapporti fra “l’uomo e l’ambiente” ?

Avevano capito tutto

Una analisi più attenta del pensiero socialista e comunista avrebbe invece mostrato che i padri fondatori del socialismo e del comunismo aveva capito molte cose sull’origine della violenza contro la natura. Intanto leggevano s studiavano gli scritti dei grandi naturalisti dell’Ottocento, contemporanei di Marx e Engels. Justus von Liebig (1803-1873) aveva descritto le leggi della nutrizione vegetale e aveva spiegato le ragioni per cui il suolo si impoverisce se coltivato intensamente. Darwin (1809-1882) al ritorno dal suo viaggio intorno al mondo sulla nave Beagle (1831-1836) nel 1859 aveva spiegato le leggi dell'evoluzione e le modificazioni che le specie subiscono in relazione all'ambiente circostante. Nel 1866 Ernst Haeckel (1834-1919), il grande divulgatore del pensiero di Darwin, in una delle sue "conferenze" suggeriva la necessità di studiare gli scambi di materia e di energia fra gli esseri viventi e il mondo circostante e assegnava alla nuova disciplina il nome di "ecologia", in quanto "economia della natura".

Il primo scritto del ventiseienne Marx, i “Manoscritti economico-filosofici del 1844” anticipano il successivo pensiero di Marx sui rapporti uomo-natura: “Le piante, gli animali, le pietre, l'aria, la luce, eccetera costituiscono una parte della vita umana e dell'umana attività. La natura è il corpo inorganico dell'uomo, precisamente la natura in quanto non è essa stessa corpo umano. Che l'uomo viva della natura vuol dire che la natura è il suo corpo, con cui deve stare in costante rapporto per non morire. Che la vita fisica e spirituale dell'uomo sia congiunta con la natura, non significa altro che la natura è congiunta con se stessa, perché l'uomo è una parte della natura".

E nel terzo fei manoscvritrti Marx continua analizzando come la proprietà privata condizioni non solo il lavoro, ma anche i bisogni umani, è ben descritto nel terzo dei "Manoscritti" del 1844: "Abbiamo visto quale significato abbia, facendo l'ipotesi del socialismo, la ricchezza dei bisogni umani, e quindi tanto un nuovo modo di produzione, quanto anche un nuovo oggetto della produzione.

"Nell'ambito della proprietà privata il significato è opposto. Ogni uomo s'ingegna di procurare all'altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo ad un nuovo sacrificio, per ridurlo ad una nuova dipendenza e spingerlo ad un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica. Ognuno cerca di creare al di sopra dell'altro una forza essenziale estranea per trovarvi la soddisfazione del proprio bisogno egoistico.

"Con la massa degli oggetti cresce quindi la sfera degli esseri estranei, ai quali l'uomo è soggiogato, ed ogni nuovo prodotto è un nuovo potenziamento del reciproco inganno e delle reciproche spogliazioni. L'uomo diventa tanto più povero come uomo, ha tanto più bisogno del denaro, per impadronirsi dell'essere ostile, e la potenza del suo denaro sta giusto in proporzione inversa alla massa della produzione; in altre parole, la sua miseria cresce nella misura in cui aumenta la potenza del denaro. Perciò il bisogno del denaro è il vero bisogno prodotto dall'economia politica, il solo bisogno che essa produce."

Il libro di Engels del 1845, "La situazione della classe operaia in Inghilterra" è già un trattatello di ecologia urbana: "Anche la popolazione viene accentrata, come il capitale; e ciò è naturale perché nell'industria l'uomo, l'operaio, viene considerato soltanto come una porzione del capitale che si mette a disposizione del fabbricante e alla quale il fabbricante paga un interesse sotto forma di salario. Il grande stabilimento industriale richiede molti operai, che lavorano insieme in un solo edificio; essi devono abitare insieme e là dove sorge una fabbrica di una certa grandezza, formano già un villaggio". E, più avanti: "Già il traffico delle strade ha qualcosa di repellente, qualcosa contro cui la natura umana si ribella. Le centinaia di migliaia di individui di tutte le classi e di tutti i ceti si urtano ... si passano accanto in fretta come se non avessero niente in comune ... La brutale indifferenza, l'insensibile isolamento di ciascuno nel suo interesse personale, emerge in modo tanto più repugnante ed offensivo quanto maggiore è il numero di questi singoli individui che sono ammassati in uno spazio ristretto".

Parole che riecheggiano negli scritti del contemporaneo Charles Dickens (1812-1870) dall’"Oliver Twist" (1837-38) a "Tempi difficili" (1854).

I riferimenti ai rapporti fra produzione di merci e risorse natyuralim permea tutto il Ib libro fel Capitale, la cui prima edizione è fdel 18xx. In una lunga nota al 13 capitolo della IV sezione del primo libro del "Capitale" Marx scrive: "Una storia critica della tecnologia ... finora non esiste. Il Darwin ha diretto l'interesse sulla storia della tecnologia naturale, cioè sulla formazione degli organi vegetali e animali come strumenti di produzione della vita delle piante e degli animali. Non merita eguale attenzione la storia della formazione degli organi produttivi dell'uomo sociale, base materiale di ogni organizzazione sociale particolare ? ... La tecnologia svela il comportamento attivo dell'uomo verso la natura, l'immediato processo di produzione della sua vita, e con essi anche l'immediato processo di produzione dei suoi rapporti sociali vitali".

Nella IV sezione del I libro del "Capitale" Marx spiega bene le conseguenze dell'esodo delle popolazioni operaie nelle grandi città, destinate a rappresentare un serbatoio di mano d'opera accessibile e sotto mano per l'impresa capitalistica. "Il modo di produzione capitalistica porta a compimento la rottura dell'originale vincolo di parentela che legava agricoltura e manifatture nella loro forma infantile e non sviluppata. Con la proporzione sempre crescente della popolazione urbana che la produzione capitalistica accumula nei grandi centri essa ... turba il ricambio organico fra uomo e terra, ossia il ritorno alla terra degli elementi costitutivi della terra consumati dall'uomo sotto forma di mezzi alimentari e di vestiario, turba dunque l'eterna condizione di una durevole fertilità del suolo. Così distrugge insieme la salute fisica degli operai urbani e la vita intellettuale dell'operaio rurale ... Come nell'industria urbana, così nell'agricoltura moderna, l'aumento della forza produttiva e la maggiore quantità d lavoro resa ... vengono pagate con la devastazione e l'ammorbamento della stessa forza-lavoro".



Fondamentale, al fine della comprensione delle cause della violenza contro la natura, è l'analisi marxiana del modo di produzione delle merci. Il celebre capitolo XIII del I libro del "Capitale", il capitolo che tratta "le macchine", spiega bene come il modo capitalistico di produzione inevitabilmente comporti lo sfruttamento dei lavoratori, la produzione di merci alterate e sofisticate, l'inquinamento ambientale. Per forza il capitale deve produrre più merci al minimo costo possibile: non certo per la maggior gloria della classe lavoratrice, ma per assoggettarla e costringerla a vendere il proprio lavoro.

La progettazione e fabbricazione di merci ed oggetti adatti a risolvere problemi umani, anziché ad assicurare profitti al capitale, richiede nuovi indicatori del valore su cui Marx si sofferma a lungo. La salvezza va cercata nella identificazione del valore d'uso delle merci, contrapposto al valore di scambio, e Marx ricorda che "la natura è la fonte dei valori d'uso (e in questi consiste la ricchezza effettiva !)" ("Critica del programma di Gotha", 1875) e parla del valore d'uso ancora presente nei rifiuti della produzione, ritrasformabili in nuovi elementi della produzione (sezione I del III libro del "Capitale").

Le pagine del quarto paragrafo del capitolo 5 di tale "sezione I", hanno una sorprendente modernità: “Per residui della produzione intendiamo gli scarti dell'industria e dell'agricoltura, per residui del consumo sia quelli derivanti dal ricambio fisico umano sia le forme che gli oggetti d'uso assumono dopo essere stati utilizzati. Sono quindi residui della produzione, nell'industria chimica, i prodotti accessori che vanno perduti, le limature che risultano dalla fabbricazione meccanica, ecc. Residuo del consumo sono le secrezioni naturali umane, i resti del vestiario in forma di stracci, ecc. I residui del consumo sono di grandissima importanza per l'agricoltura. Ma nella loro utilizzazione si verificano, in regime di economia capitalistica, sprechi colossali; a Londra, per es., dello sterco di 4 milioni e mezzo di esseri umani non si sa far di meglio che impiegarlo con enormi spese per appestare il Tamigi”.

Tutto il paragrafo continua esponendo le prospettive di produzione della lana dagli stracci (già praticata in Inghilterra nella metà del 1800), la produzione di coloranti dal catrame di carbon fossile. E anche in questa parte Marx ripete che alla base degli sprechi, degli inquinamenti, si trova il modo capitalistico di produzione.

Neanche i termini del dibattito sui "limiti" allo sfruttamento delle risorse naturali e della fertilità del suolo, erano estranei a Marx ed Engels. Del resto il pericolo dell'esaurimento delle miniere di carbone inglesi era stato trattato dal loro contemporaneo W.S. Jevons (1835-1882) nel celebre libro "The coal question", del 1865. Ed era loro contemporaneo anche Justus Liebig che aveva gettato le basi della teoria della nutrizione vegetale ed aveva spiegato le ragioni per cui la fertilità di un terreno diminuisce, se esso è sfruttato eccessivamente. Di Liebig (citando la settima edizione del 1862 della "Die Chemie in ihrer Anwendung auf Agrikultur und Physiologie") parla Marx nel 13° capitolo della IV sezione del I libro del "Capitale", precisando che "la spiegazione del lato negativo dell'agricoltura moderna è uno dei meriti immortali" del chimico tedesco. Più avanti, nella sezione 44 del terzo libro del "Capitale", Marx scrive ancora che, "per quanto riguarda la produttività decrescente del terreno in successivi investimenti di capitale si deve consultare Liebig".

Come si vede, il tanto citato e discusso libro sui "Limiti alla crescita", con la sua analisi dell'impoverimento delle risorse e del crescente inquinamento come conseguenza della crescente produzione di merci e dell'aumento della popolazione, non era poi una novità nel pensiero economico e sociale.

C'è una ricetta che consenta di usare le ricchezze della natura per soddisfare bisogni umani senza distruggerne le fonti e le radici ? Marx indica tale ricetta nella socializzazione dei beni della natura, un problema che affronta nella sesta sezione del III libro del "Capitale" che sarebbe uscito postumo nl 18xx a cura di Engels:

"Dal punto di vista di una più elevata formazione economica della società, la proprietà privata del globo terrestre da parte di singoli individui apparirà così assurda come la proprietà privata di un uomo da parte di un altro uomo. Anche un'intera società, una nazione, e anche tutte le società di una stessa epoca prese complessivamente non sono proprietarie della terra. Sono soltanto i suoi possessori, i suoi usufruttuari e hanno il dovere di tramandarla migliorata, come boni patres familias, alle generazioni successive."

Originale e ancora attuale era anche la soluzione che Marx suggerisce al problema della scarsità, alla fine del III libro del "Capitale". “La libertà può consistere soltanto in ciò che l'uomo socializzato, cioè i produttori associati, regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura, lo portano sotto il loro comune controllo, invece di essere da esso dominati, come da una forza cieca; che essi eseguono il loro compito con il minore possibile consumo di energia e nelle condizioni più adeguate alla loro natura umana e più degne di essa. [Qui comincia] il vero regno della libertà".

Le pagine più suggestive del pensiero marxiano sul rapporto uomo-natura sono forse quelle espresse da Engels nel 1876, pochi anni dopo la pubblicazione dei libri di Haeckel, nel saggio "Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia", oggi compreso nella "Dialettica della natura". "L'animale si limita ad usufruire della natura esterna, ed apporta ad essa modificazioni solo con la sua presenza; l'uomo la rende utilizzabile per i suoi scopi modificandola la domina. Questa è l'ultima, essenziale differenza fra l'uomo e gli altri animali, ed è ancora una volta il lavoro che opera questa differenza. Non aduliamoci troppo tuttavia per la nostra vittoria sulla natura; la natura si vendica di ogni nostra vittoria. Ogni vittoria ha, infatti, in prima istanza, le conseguenze sulle quali avevamo fatto assegnamento; ma in seconda e terza istanza ha effetti del tutto diversi, impreveduti, che troppo spesso annullano a loro volta le prime conseguenze. Le popolazioni che sradicavano i boschi in Mesopotamia, in Grecia, nell'Asia minore e in altre regioni per procurarsi terreno coltivabile, non pensavano che così facendo creavano le condizioni per l'attuale desolazione di quelle regioni, in quanto sottraevano ad esse, estirpando i boschi, i centri di raccolta e di deposito dell'umidità. Gli italiani della regione alpina, nell'utilizzare sul versante sud gli abeti così gelosamente protetti al versante nord, non ... immaginavano di sottrarre, in questo modo, alle loro sorgenti alpine per la maggior parte dell'anno, quell'acqua che tanto più impetuosamente quindi si sarebbe precipitata in torrenti al piano durante l'epoca delle piogge ..."

Per inciso sarebbe interessante sapere quanto Engels è stato influenzato, nello scrivere, intorno al 1876, queste pagine, dal ricordato libro "Man and nature" di Marsh, apparso, nella prima edizione pochi anni prima, nel 1864, che era stato tradotto in russo nel 1866, aveva avuto altre tre edizioni nel 1869, 1872 e 1874, poco prima quindi, della redazione del passo di Engels citato.

E nella "Parte avuta dal lavoro ...", Engels continua: "Ad ogni passo ci viene ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo; tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, ch ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle nel modo più appropriato". E, ancora più avanti, Engels continua: "Il singolo industriale o commerciante è soddisfatto se vede la merce fabbricata o comprata con l'usuale profittarello e non lo preoccupa quello che in seguito accadrà alla merce o al compratore. Lo stesso si dica per gli effetti di tale attività sulla natura. Prendiamo il caso dei piantatori spagnoli a Cuba, che bruciarono completamente i boschi sui pendii e trovarono nella cenere concime sufficiente per una generazione di piante di caffè altamente remunerative. Cosa importava loro che dopo di ciò le piogge tropicali portassero via l'ormai indifeso 'humus' e lasciassero dietro di sé nude rocce ? "Nell'attuale modo di produzione viene preso prevalentemente in considerazione, sia di fronte alla natura che di fronte alla società, solo il primo, più palpabile risultato. E poi ci si meraviglia ancora che gli effetti più remoti delle attività rivolte ad un dato scopo siano completamente diversi e per lo più portino allo scopo opposto."

Viene da sorridere pensando che avrebbe dovuto passare un secolo prima che il concetto di previsione degli effetti ambientali della produzione e del consumo delle merci --- la cosiddetta "valutazione dell'impatto ambientale" --- entrasse nella legislazione dei paesi "evoluti". Sono le stesse parole che stanno alla base di tutti i tanto declamati discorsi sull’attenzione che si deve prestare alle future generazioni e sui guasti ambientali che ne possono compromettere le condizioni di salute e di vita; un principio che non potrà fare un passo avanti fino a quando la proprietà e lo sfruttamento individuale, privato, guidano le regole economiche relative all'uso delle risorse naturali.

Engels riprende il tema del rapporto città-campagna nell'"Antidühring" del 1878: "La città industriale --- che è condizione fondamentale della produzione capitalistica --- trasforma qualsiasi acqua in fetido liquido di scolo". E più avanti, nello stesso libro, fornisce quasi una guida alla pianificazione territoriale: "Solo una società che faccia ingranare armoniosamente le une nelle altre le sue forze produttive secondo un solo grande piano, può permettere all'industria di stabilirsi in tutto il paese con quella dislocazione che è più appropriata al suo sviluppo e conservazione, e rispettivamente all'utilizzazione degli altri elementi della produzione. Solo con la fusione fra città e campagna può essere eliminato l'attuale avvelenamento di acqua, aria e suolo, solo con questa fusione le masse che oggi agonizzano nelle città saranno messe in una condizione in cui i loro rifiuti siano adoperati per produrre le piante e non le malattie. La civiltà ci ha senza dubbio lasciato nelle grandi città un'eredità la cui eliminazione costerà molto tempo e molta fatica."

A differenza dell'attuale effimera attenzione per le scoperte scientifiche, il dibattito sulla rivoluzione delle conoscenze biologiche nell'Ottocento si diffuse rapidamente non solo fra gli studiosi, ma a livello della masse popolari e sollecitava una analisi delle radici della violenza nei confronti della natura, riconosciute insite nel sistema capitalistico borghese e consumistico. Si possono ricordare gli scritti degli anarchici, come Henry Thoreau (1817-1862) e Piotr Kropotkin (1842-1922), dello stesso Lev Tolstoi (18xx-18xx), le battaglie socialiste per la natura del resto si intrecciavano con quelle per migliorare le condizioni di vita e l'ambiente nelle città e nelle fabbriche, ecologia anche quella.

Per esempio, il fascicolo del 15 giugno 1882 del giornale operaio e socialista "La Plebe" contiene un lungo necrologio di Darwin con una interessante interpretazione "politica" del suo pensiero: "La solidarietà, e il lavoro solidale, sono ciò che protegge le specie nella lotta che esse hanno a sostenere contro le forze ostili della natura per mantenere la loro esistenza... [secondo le ricerche di Darwin] il miglior modo d'organizzazione d'una società animale è quella del comunismo anarchico".

Podolinsky

Sarebbe utile rileggere gli scritti dell'estrema sinistra dei èprimi anni settsanta del Novecento per ritrovare questa posizione che del resto è ben interpretata dal celebre libro di Dario Paccino (1918-2005), "L'imbroglio ecologico", del 1972. Sostanzialmente la tesi era che l'ecologia era un ennesimo imbroglio architettato dal capitale per polarizzare l'attenzione verso la salvezza della "natura" dimenticando che l'"animale operaio" è esposto, ben più degli uccelli, a violenza e pericolo di estinzione. Questa critica era in parte ingenerosa: l'ecologia e la contestazione ecologica avrebbero potuto offrire --- e hanno anche offerto --- l'occasione per riconoscere che le radici della violenza contro la natura e l'ambiente andavano cercate nella proprietà privata, nelle leggi del massimo profitto, nelle ragioni e regole della società capitalistica. Virginio Bettini, nel 1970, aveva scritto, nel primo numero della rivista Natura e Società, che "l'ecologia è rossa".

Marxismo e comunismo sovietico

Un altro interessante punto su cui l'ambientalismo "borghese" ha attaccato "i comunisti" per la loro presunta insensibilità ai problemi ambientali riguardava quanto era successo e stava avvenendo nei paesi socialisti, in particolare dell'Unione sovietica. Quante volte, nel corso del dibattito ecologico, si è sentito dire che i comunisti italiani non avrebbero mai potuto dare risposta alla protesta ecologica perché il loro modello sovietico era quanto di più antitetico si potesse immaginare.

Anche questa critica derivava soltanto da mancanza di informazioni adeguate sulla storia dell'Unione sovietica. E' vero che, come ricordavo prima, Lenin aveva scritto che il comunismo è basato sull'elettrificazione, quindi sulle grandi opere pubbliche di dighe e centrali --- molte con effetti devastanti sugli equilibri ecologici e idrogeologici di vasti territori --- ma Lenin è stato anche quello che ha creato, in piena guerra civile, nel 1919, quando era assediato dall’esercito bianco ad Astrakan, il primo parco nazionale, quello del delta del Volga.

L'Urss ha subito l'ombra del lisenkoismo, ma ha dato spazio e prestigio ad uno scienziato di fama internazionale come Vernadsky --- morto all'inizio del 1945 --- lo studioso che ha gettato le basi della conoscenza della biosfera e della geochimica. Solo adesso si comincia ad avere un quadro dello sviluppo delle scienze della natura nell'Urss attraverso il contributo anche di studiosi occidentali.

Anche se vasti settori dell'opinione pubblica, con la radicale trasformazione dell'Unione sovietica, con l'ondata di frenesia per il libero mercato che invade il mondo, considerano definitivamente sepolti Marx e Engels e la storia comunista, tuttavia vi sono ancora alcuni che si chiedono se non sia il caso di rimettersi a leggere le loro opere per riscoprire dimenticate fonti di ispirazione di comportamenti per un diverso rapporto fra uomo e natura.

A molti appare chiaro che non si può ridurre tutto a soldi, alle regole del profitto, che esistono altri valori, fra cui la solidarietà, la libertà, la bellezza, che non si possono esprimere con l'unità "denaro"; che le regole della "economia" portano alla distruzione di materiali, di monumenti naturali e umani, alla cui sopravvivenza è legata la stessa sopravvivenza degli esseri umani, in quanto animali speciali.

Davanti ad un appiattimento della contestazione ecologica in Occidente sta, fortunatamente, nascendo una nuova contestazione ecologica nel Sud del mondo: spesso si tratta di "ecologia" pensata e fatta dalle donne, una ecologia che cerca la soluzione delle attuali contraddizioni nel socialismo. Questa ventata assume vari colori e nomi, da "ecosocialismo", a "ecomarxismo", a movimenti di liberazione contro il nuovo colonialismo portato non solo dalle armi, ma dalle ferree leggi del mercato.

Si parla tanto, per esempio, di una società del futuro "sostenibile", capace di soddisfare i bisogni umani dell'attuale generazione senza compromettere il diritto delle future generazioni a soddisfare in modo decente gli stessi bisogni, una società compatibile con i problemi di scarsità delle risorse naturali, della capacità dell'aria, delle acque, del suolo, di funzionare come ricettori dei crescenti rifiuti della vita umana. A parole, sembra che l'edificazione di questa società “sostenibile” sia uno degli imperativi delle azioni politiche nazionali e internazionali. Ma ad una analisi più attenta appare che, per le leggi della fisica e dell’ecologia citate all’inizio, una società sostenibile (secondo la definizione precedente) o a “emissioni zero” è fisicamente impossibile: al più si può cercare di realizzare una società meno insostenibile dell’attuale.

A maggior ragione, sempre per le leggi del capitalismo citate all’inizio, una società capitalista e borghese, le regole del libero mercato, accelerano la insostenibilità, la insopportabilità degli attuali modi di produzione e di consumo da parte della natura, accelerano la violenza e l’impoverimento delle riserve delle risorse naturali e l’avvio verso conflitti per la conquista delle risorse naturali scarse. La insostenibilità è infatti figlia dell'appropriazione privata dei beni collettivi che sta alle basi del capitalismo e del libero mercato.

La rilettura di Marx ed Engels è particolarmente importante proprio in questo momento in cui la favola della società informatica, virtuale, biotronica, dematerializzata, sta staccando le masse dalla realtà delle cose fisiche, naturali, materiali --- dalla realtà delle pietre, delle acque, delle piante e degli altri animali, in cui anche il movimento ambientalista e "verde" è travolto dalla società delle immagini, si presta a fare il consulente del principe, in cui le forze fasciste e di destra organizzano le proprie associazioni ambientaliste e la confusione è somma sotto il cielo.

E' una vecchia favola della destra far credere che al buio tutti i gatti siano grigi e che tutti sono amici dell'ecologia. La salvezza va cercata riprendendo il gusto di leggere e studiare le pagine dimenticate, a cominciare da quelle di Marx ed Engels e Lenin, la storia dei paesi socialisti e delle loro contraddizioni. Va cercata nel gusto di ricominciare a guardare al futuro, che necessariamente non può essere quello della pubblicità melensa e degli spot televisivi, ma quello della conoscenza, della riappropriazione critica del lavoro, di una nuova attitudine, di una austerità nei confronti dei consumi indifferenziati, proposti come unici possibili dalla propaganda. Occorre ricordare che le merci non sono neutrali.

Oltre un secolo e mezzo fa, nel febbraio 1848, Marx ed Engels pubblicarono a Londra il celebre “Manifesto del partito comunista”; è vero che in esso non si parla di ecologia, ma viene chiaramente indicato che il capitalismo crea le condizioni per una comune rovina, ma anche per la propria distruzione --- e la violenza contro la natura e l’ambiente è proprio una delle condizioni che distrugge la possibilità di moltiplicare le merci di cui il capitalismo si nutre.

In Italia, dove questi problemi sono tenuti accuratamente sotto controllo, con la droga della pubblicità e della banalità, può essere utile che almeno alcuni, delle giovani generazioni, ricomincino a leggere i classici del marxismo, si informino sugli studi marxiani che fortunatamente, continuano, anzi stanno risorgendo, nel mondo.

Così come due secoli fa l’illuminazione a gas, figlia del capitalismo, offrì la luce nelle stanze in cui i proletari potevano riunirsi e discutere e leggere, oggi uno strumento come Internet, figlio supremo della tecnica capitalistica, offre gli strumenti per la liberazione dal buio in cui si è costretti dalla borghesia capitalistica e per unirsi, con modesta spesa, a tanti altri che nel mondo analizzano le radici della crisi e cercano le strade per uscirne.

Vorrei aggiungere una considerazione che solo indirettamente ha a che fare con l’ecologia. Si parla tanto di moltiplicazione della criminalità, cioè delle azioni che assicurano denaro violando la legge. Ma in una società in cui l’unico dio è il possesso del denaro, i mezzi criminali rappresentano la strada più semplice e meno faticosa per procurarsi tale denaro.

Nel momento in cui il valore delle persone non fosse più misurato sulla base del possesso delle merci, in cui cessasse la pubblicità che costringe, soprattutto le classi più fragili, a sognare il possesso del denaro e delle merci, in una tale società le motivazioni della criminalità sarebbero grandemente ridotte. I problemi dell’ecologia mostrano che, contrariamente a quanto sosteneva de Mandeville (1670-1733) nella “Favola delle api”, i “vizi privati” dell’egoismo generano non il progresso e i “pubblici benefici”, ma le condizioni per una pubblica, continua e crescente catastrofe ecologica e morale.


Alcuni inviti alla lettura

Autori vari, "Uomo natura società. Ecologia e rapporti sociali", Roma, Editori Riuniti, 1972

T. Bagarolo, "Marxismo e ecologia", Milano, Nuove edizioni internazionali, 1989

T. Bagarolo, "Ecologia e rivoluzione sovietica", Calendario del Popolo, 50, (573), 24-28 (febbraio 1994)

T. Bagarolo, "Introduzione a Engels", Milano, Edizioni Punto Rosso, ottobre 1995, 108 pp.

K.E. Bailes, "Science and Russian culture in an age of revolutions. V.I. Vernadsky and his scientific school, 1863-1945", Bloomington, Indiana University Press, 1990

V. Bettini, "Il colore dell'ecologia", Natura e Società, vol. 1, n. 1 (1970)

R. Bodei, "Nature di tutto il mondo unitevi !", in: "Marx alla fine del XX secolo", inserto speciale per il centenario della morte di Marx, Supplemento al numero 48 del 27 febbraio 1983 de l'Unità

L. Conti, "Che cos'è l'ecologia. Capitale, lavoro e ambiente", Milano, Mazzotta, 1977

C. Darwin, "On the origin of species by means of natural selection, or the preservation of favoured races in the struggle for life", 1859, molte edizioni e traduzioni anche in italiano

J.P. Deleage, "La nature: un paradigme introuvable", Critique communiste, n. 7, maggio-giugno 1976

F. Dubla, "Ecologia sociale, capitalismo reale, socialismo possibile", Leporano (Taranto), Quaderni del Centro Studi e Documentazione Marxista Gramsci, 1993

F. Engels, "L'economia politica (Primi lineamenti di una critica dell'economia politica (1844))", traduzione e ristampa, Roma, 1971

F. Engels, "Die Lage der Arbeitenden Klasse in England", Lepzig, Otto Wigand, 1845; seconda ristampa, riveduta, Stuttgart, J.H.W. Dietz, 1892; edizione americana, 1887; edizione inglese, London, Swan Sonnenschein & Co., 1892; traduzione italiana di Raniero Panzieri: "La situazione della classe operaia in Inghilterra", Roma, Editori Riuniti, 1955; poi, con introduzione di Eric Hobswam, 1969

F. Engels, "Antidühring" (1876-1878)

F. Engels, "Dialettica della natura", traduzione italiana, Roma, Editori Riuniti, 1967, prefazione di Lucio Lombardo Radice. Raccolta di saggi scritti fra il 1873 e il 1886. Il capitolo "Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia", redatto circa nel 1876, incompleto, era apparso nel 1896 sulla rivista di Kautsky, "Die Neue Zeit".

F. Engels, "Ludwig Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca", traduzione italiana, Roma, 1969

F. Engels, "Der Ursprung der Familie, des Privateigentums und des Staat", 1884, quarta edizione, 1891; traduzione italiana col titolo: "L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato", Roma, Savelli, 1973

J. Fallot, "Marx e la questione delle macchine", Firenze, La Nuova Italia, 1971

V. Gerratana, Critica Marxista, n. 2, 1972, ora anche in: "Ricerche di storia del marxismo", Roma, 1972

A. Gorz, “Capitalismo, socialismo, ecologia”, Roma, Manifestolibri

Istituto Gramsci, "La scienza della vita", Roma, Editori Riuniti, 1977

T. Maldonado, "La speranza progettuale. Ambiente e società", Torino, Einaudi, 1970

H. Marcuse, "One-dimensional man. Studies in the ideology of advanced industrial society", Boston, Bacon Press, 1964; trad. ital. "L'uomo a una dimensione", Torino, Einaudi, 1967

H. Marcuse, "La fine dell'utopia", Bari, 1968

K. Marx, "Per la critica dell'economia politica" (1859), traduzione italiana, Roma, Editori Riuniti, 1968, 1974 con introduzione di Maurice Dobb

K. Marx, "Grundrisse der Kritik der politische Oekonomie" (1857-1858); trad. ital. "Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica", Firenze, La Nuova Italia, vol. I, 1968; vol. 2, 1970

K. Marx e F. Engels, "L'ideologia tedesca" (1845-1846), traduzione italiana, Roma, 1967, introduzione di C. Luporini

G. Mazzetti, "Politica ed ecologia", Ecologia Acqua Aria Suolo, n. 4, 268-287 (maggio 1975) e n. 5, 333-347 (giugno 1975)

F. Minazzi, "Friedrich Engels e il problema di una conoscenza materialistica della natura", Questioni del Socialismo, settembre 1995, p. 105-129

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1 commento:

  1. Ma cosa ha a che fare tutto questo con l'ecologia vera?

    Escluse le teorie "vicine", ma comunque considerate eretiche per il marxismo (Thoreau e Tolstoj non erano certo filo-marxisti) ciò di cui si parla in questo articolo è perlopiù il dominio dell'umano sulla natura.

    Secondo il marxismo l'uomo vi appartiene - ma come per la mitologia biblica - vi appartiene come dominatore, come creatura egemone che vi rivendica dei diritti esclusivi.
    Gli ecosistemi esistono - per il marxismo e come dimostrato in più passi dell'articolo - in funzione dell'uomo.
    Questa non è ecologia, è malapena ambientalismo utilitarista.

    Inoltre Darwin viene citato fortemente a sproposito, se ne parla - trasportandolo nell'umanesimo marxista - senza averlo veramente capito.

    Darwin è una delle schegge (assieme a Nietzsche, Jung e altri) che mette in forte discussione l'umanesimo.

    Riportarlo nell'alveo di un pensiero progressista e umanista è uno spregio al pari di chi - dall'altra parte - lo ha usato per giustificare il razzismo.

    No mi dispiace ma i fondatori del comunismo anche se "avevano capito tutto" sui rapporti tra uomo e ambiente, non avevano capito niente sull'ecologia.
    E questo articolo ne è una colta e ben motivata testimonianza.

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